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Antibiografia di Dio

“Un uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere ciò che vuole”. Con queste parole Arthur Schopenhauer cercò di comunicare al mondo la propria visione della realtà. Una realtà pervasa dalla volontà di vivere, entità intangibile, irrazionale e non pienamente conoscibile, il cui unico obiettivo è quello di perpetuare la propria esistenza in funzione della sopravvivenza della realtà stessa e di tutte le sue manifestazioni empiriche; dall’uomo agli oggetti, dagli animali alle forze fisiche. La respirazione per ossigenare il sangue, la costruzione di nidi per covare uova, la tessitura di ragnatele per procacciare cibo, sono gesti istintivi e inspiegabili guidati, appunto, dalla volontà di vivere. I segreti alla base di elettromagnetismo e gravità vengono riconosciuti e accettati, ci si arrende dinanzi all'inafferrabilità dei concetti che ne dettano il funzionamento intrinseco. Un universo così concepito porta a due principali conseguenze: la subordinazione dell’intelletto alla volontà e dunque la mancanza di un effettivo libero arbitrio, da cui l’equivocabile citazione iniziale, e un imperituro stato di lotta per la sopravvivenza, che porta inevitabilmente la vita umana ad oscillare, come un pendolo, tra dolore e noia.

Profondamente legato al pensiero schopenhaueriano fu Albert Einstein.

Egli riconobbe, nelle opere filosofiche prodotte, l’influenza che questa dottrina ebbe sul suo approccio alla vita, aiutandolo a non prendere troppo sul serio sé stesso o gli altri e spingendolo a cercare sollievo dal dolore dell’esistenza nell’arte e nella scienza. Ma è proprio nella scienza che la condotta di Einstein differisce dalle idee del filosofo di Danzica; il fine ultimo delle sue ricerche nel campo della fisica fu quello di dimostrare la razionalità delle forze dell’universo, comprenderne il funzionamento e svelarne i segreti di fronte ai quali ci si era arresi in precedenza. Il suo rivoluzionario approccio, fatto di pensieri creativi ed esperimenti mentali, lo portò alla pubblicazione nel 1916 della teoria della relatività generale, attuale teoria fisica della gravitazione e unico vero passo avanti rispetto alla legge di gravitazione universale proposta da Newton nel 1687, la quale si limitava a fornire i mezzi atti a quantificare e calcolare l’attrazione tra elementi nell’universo. Einstein arriva a concepire l’interazione gravitazionale tra masse come figlia della distorsione spazio temporale comportata dalla stessa presenza delle masse nell’universo. È spesso utilizzato per visualizzare questo fenomeno un grande telo elastico; vi viene posizionata una sfera che provoca una sottile curvatura al centro del lenzuolo e vengono poi lasciate cadere sulla superficie, con una leggera spinta perpendicolare rispetto alla pendenza, altre sfere più piccole le quali simulano il moto orbitale che si creerebbe in assenza di attrito.

Se accettiamo come definizione di Dio (un Dio “degli scienziati” o “fisico”) quella che lo riconosce come creatore dell’universo e delle leggi fisiche che ne condizionano l’evoluzione, allora Einstein cercò, con i suoi studi, di tendere la mano a Dio, identificandosi come pari conoscitore delle fattezze della natura.

Bastarono appena dieci anni perché l’idea di una “Teoria del tutto” ante litteram, descritta dai soli studi di Einstein, svanisse, grazie alla formulazione della meccanica quantistica da parte, tra tutti, dei fisici Heisenberg e Bohr, ricordati dalla storia soprattutto per le controversie riguardanti la creazione della bomba atomica. Questo nuovo studio dimostrò come non sia possibile calcolare o predire con certezza il comportamento di particelle o onde, ma che siano invece unicamente calcolabili le probabilità con le quali determinati enti microscopici tenderanno a seguire una certa traiettoria piuttosto che un’altra. La meccanica quantistica mette in crisi le teorie fisiche che auspicavano di trovare una soluzione al grande problema dell’universo perché dimostra come tutto sia riconducibile agli elementi di cui la stessa meccanica quantistica ha descritto la casualità.

Ecco il ritorno alla filosofia schopenhaueriana, il ritorno all’irrazionalità della natura e di chi ne fa le veci.

Tra i tanti fisici che nell’ultimo secolo hanno cercato una via d’uscita da questo baratro apparentemente invalicabile, Stephen Hawking, in particolare, ha attirato l’attenzione di colleghi e appassionati con le sue idee. A partire dalla teoria dei buchi neri e dall’assunto che l’universo sia in espansione, prima teorizzato da Fridman e poi dimostrato da Hubble, Hawking intraprese un percorso a ritroso lungo la linea temporale, arrivando a concepire l’inizio dell’universo come una singolarità; un punto dove la curvatura dello spazio tempo tenderebbe a valori infiniti, dunque un punto infinitamente denso, e dove tutti gli elementi che oggi costituiscono la realtà da noi osservabile, compresi noi stessi, si sarebbero trovati a distanza zero tra loro.

Questa visione apre la strada a infinite interpretazioni del pre-singolarità ma, considerando l’inconciliabilità tra le leggi universali da noi attualmente conosciute e la condizione fisica dell’inizio dei tempi, la più acclamata risulta quella che indica Dio come creatore. Il Dio “fisico”, di cui sopra, è però un dio diverso da quello dei cristiani o di qualsiasi altra comunità religiosa che si identifica come seguace di una o più divinità, e per comprendere, oltre alle caratteristiche, la necessità di questa differenza risulta estremamente utile “La scommessa di Pascal”, argomento introdotto nel XVII secolo dall’omonimo intellettuale francese per dimostrare ad atei e credenti l’importanza della fede nel Dio cristiano.

L’intera questione può essere ricondotta a quattro diverse combinazioni: Dio esiste, dunque l’uomo cattolico ha vinto tutto perché ha la possibilità di accedere al paradiso; Dio esiste, e l’ateo, non avendo creduto alla sua esistenza, si è precluso l’accesso al regno dei cieli, condannando se stesso alla sofferenza eterna; Dio non esiste e sia il cristiano che l’ateo non hanno perso o vinto nulla perché dopo la morte, con loro, la scommessa entrerebbe nell’oblio dell’incoscienza.

Da qui si nota come il Dio “fisico”, spogliato dei costumi accumulatisi in millenni di tradizione giudaico-cristiana sia scadente, perché, non fornendo la possibilità della vita dopo la morte, non sopperisce alla necessità umana di un luogo a cui tendere, di una condotta da mantenere per il raggiungimento del trascendentale. E questo dimostra come la maggior parte dei credenti siano tali per convenienza e non per reale fede, seppur cerchino di negarlo agli altri con l’impegno nelle pratiche religiose, e a sé stessi negli intimi momenti di preghiera, sperando che l’onnipotenza di Dio abbia un limite, sperando che l’onnipotenza di Dio si fermi dinanzi al velo della menzogna.


Lorenzo Bosco

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