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  • Immagine del redattoreRedazione Sisma

CRISPR

E se fosse possibile correggere gli errori genetici che causano disturbi come la sindrome di down, l’HIV, il cancro? E se fosse possibile alterare qualsiasi gene nella composizione degli organismi viventi in modo che la natura si comporti esattamente come vogliamo?



Ciao, sono Jackson e ho paura del buio. Ho paura del buio perché è l’unica condizione che conosco, il fatto è che il buio non lo si conosce, come conosci una cosa che non vedi? Ho paura anche della luce per lo stesso principio, non la conosco, come conosco una cosa che non vedo?

In realtà ho mentito, so che non si dicono le bugie, mamma me lo dice sempre, mamma è la persona più vera che conosco. Non ho paura del buio perché non lo conosco, ho paura del buio perché lo conosco fin troppo bene. Ho anche paura di non poter conoscere mai nient’altro e allo stesso tempo ho paura di lasciare quel mio buio e di trovarmi intorno qualcosa di diverso dall’oscurità.

Sulla luce non ho mentito totalmente, ho paura di questa perché non la conosco, o almeno la conosco solo in parte. Mamma dice che la luce ce l’ho negli occhi.

Il buio è casa mia e qualche volta riesco a intravedere le fonti di luce, mai nient’altro. Mamma mi ha detto, e sono sicuro che è così perché mamma non mente, che io ho gli occhi di un supereroe, che vedo e conosco il buio meglio di tutti. Questo è perché nel mio occhio, in particolare nella mia retina, c’è un qualcosa di diverso dagli altri, si chiama gene Cep290 ed è sbagliato. Questa è una delle forme dell’amaurosi congenita di Leber.

L’altro giorno, in giardino, c’erano le lucciole, mamma me ne ha presa una e me l’ha posata sulla mano, sono riuscito a vedere a intermittenza le mie dita, illuminate dalla lucina di queste stupende creaturine.

Da grande farò l’astronauta, andrò su Marte. Conosco tutto quello che c’è da sapere sullo spazio, sulle navicelle spaziali. Lo spazio è prevalentemente buio, lo spazio è casa mia.

La cosa che mi affascina di più sono i buchi neri. Perfino la luce è risucchiata da questi strani e curiosi vortici.

Mamma e papà mi hanno sempre sostenuto, da quando sono nato 8 anni fa fino ad ora.

Ho molti amici e una sorellina.

Sono molto bravo negli sport anche.

A volte ho dei momenti tristi, il buio dei miei occhi diventa un buio bagnato. Penso che forse, se non riuscirò mai a vedere bene, se non troveranno una cura, non andrò su Marte, non andrò neanche mai su una navicella spaziale molto probabilmente. Ma poi abbraccio mamma, il bagnato si asciuga, come i panni stesi fuori, e torna la speranza. La speranza e i sorrisi sono le cose più presenti a casa mia, le posso vedere.


Mamma oggi è strana, ansiosa, aspetta una telefonata credo. Poco dopo, infatti, il telefono squilla. Parla, ascolta, fa tante domande. Si parla di me. Non mi piace quando si parla di me. Sento mamma piangere, ma sento anche il suo sorriso e quello di papà. Poco dopo vengono a parlarmi. Avevo ragione, stavano parlando di me.


Ieri mamma mi ha parlato della telefonata. La sorpresa più bella di sempre: andrò nello spazio.


Mamma ha detto che c’è una speranza, un intervento. Ha detto che gli scienziati hanno trovato un metodo per farmi vedere, forse. Mi ha descritto questo metodo. Ha detto che nel mio occhio ci sono tanti geni, come il Cep290, tutti in fila e quando si hanno dei geni con delle mutazioni, dei geni che non vanno bene, come nel mio caso, si usa una nuova tecnica che si chiama Crispr-Cas9. Il Crispr, proprio come un paio di “forbici” taglia via il gene sbagliato e lo sostituisce con uno giusto, uno funzionante.


Ci sono pochi rischi, quello maggiore è la delusione. Già, potrebbe non funzionare. Potrebbe anche funzionare. Ho paura di entrambi. Come del buio e della luce. Sono l’opposto eppure mi fanno paura tutt’e due. Cosa non mi fa paura, allora? Non mi interessa, il buio diventa di nuovo bagnato, sorrido e abbraccio mamma e papà.


I mesi passano e l’operazione si avvicina. Chiamate, prenotazioni, controlli, analisi e poi, finalmente, il giorno x, il giorno dell’operazione. Sono passati nove mesi da quella chiamata. Come dice mamma:

“È una dimensione onirica!”. Inizialmente non capivo cosa significasse, poi gliel’ho chiesto e ha detto che significa che sembra di star sognando, di stare in una realtà fittizia. Le avrei voluto urlare: “Mamma, è tutto vero, andrò nello spazio” ma mi sono limitato a sorridere perché la paura ha preso il sopravvento. E se fosse veramente un sogno? Se fosse tutto finto? No, non può essere così. Devo andare nello spazio, su Marte, devo vedere un buco nero, devo vedere la Terra dall’alto. Andrà così. Io non sono un buco nero, la luce non rientra nel mio buio, la luce lo sconfigge il mio buio. La luce è tutto quello che ho. La luce è la mia speranza, la luce sono mia madre, mio padre, mia sorella, i miei amici, i medici, gli scienziati. Tra qualche giorno vivrò nella luce, nella speranza.


Arriviamo in ospedale, mi operano, ora sono sul lettino in una stanza con accanto la mia famiglia e una benda sull’occhio destro, quello che ha subito l’operazione. Fa male, malissimo.

La luce diventa sempre più flebile, la speranza diventa sempre più flebile. Voglio togliermi la benda, so che andrà meglio una volta tolta. Così con l’aiuto dei miei genitori la stacco piano piano, fa male, è come se mi stessero definitivamente strappando l’occhio. Penso che forse è meglio, quest’occhio mi ha creato solo problemi. Benda tolta, riesco a stento ad aprire l’occhio. Poi però va un po’ meglio.


Arriva la sera, riesco ad aprire totalmente entrambi gli occhi, vedo mamma, mi alzo dal letto e vado verso una parete della stanza, è vetrata e dà sulla città, vedo tutti i palazzi illuminati, le strade, sembra una distesa di lucciole. Per la prima volta non è il buio a bagnarsi, ma la luce.


Basato su una storia vera.


2018, Washington, a Jackson Kennedy, bambino di dieci anni, nato con l'amaurosi congenita di Leber (una rara condizione degenerativa che colpisce la vista a causa di errori nel gene RPE65 di una persona), viene somministrato il primo prodotto di terapia genica approvato dalla FDA, Luxturna.

Questa tecnica si chiama editing genetico CRISPR/Cas9. Ma a differenza della terapia genica, inserisce, rimuove, modifica o sostituisce parti specifiche del DNA esistente di una persona.

Il sistema prende ispirazione da un meccanismo usato dai batteri per difendersi dai virus e utilizza un enzima chiamato Cas9, trasportato da un frammento di RNA capace di raggiungere esattamente il bersaglio previsto. Per questo il sistema sfrutta la presenza di alcune zone di sequenze ripetute palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari, dette, in breve, CRISPR. Giunto lì, l’enzima esegue l’equivalente biologico del comando copia-incolla di un software di scrittura ed elimina o sostituisce la sequenza bersaglio.

Utilizzando questa tecnologia, gli scienziati possono attivare o silenziare manualmente una sequenza genetica scelta, correggendo quindi i difetti causati specificamente da mutazioni nel DNA. Ma gli scienziati hanno anche il potere di progettare e controllare tratti come il colore degli occhi, l'acconciatura e persino il sesso.

Modificare il DNA della futura generazione è un evento irreversibile che verrà ereditato da tutta la discendenza nei futuri millenni. Possiamo assumerci questa responsabilità? Ne abbiamo diritto? È eticamente accettabile?

Questa tecnica rivoluzionaria pone interrogativi laceranti ma tassativi di natura etica e filosofica. Come distinguiamo terapia ed eugenetica?


E in Italia?


Nella penisola, nel 2003, per tutelare la procreazione medicalmente assistita (PMA) nasce la Legge 40.

L’art. 13 della legge vieta qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano (comma 1), ma permette la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano (comma 2) “a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e dello sviluppo dell’embrione stesso e qualora non siano disponibili metodologie alternative”. Siamo di fronte a un’ambivalenza: se da un lato la ricerca scientifica non può essere praticata, dall’altro lato terapie di editing del genoma sono lecite, perché volte a tutelare la salute degli embrioni. Ciò porta a comprendere che la conoscenza degli orizzonti aperti da queste tecniche e le loro implicazioni etiche devono essere ancora scandagliati.

Le incognite sull’editing del genoma ad oggi sono ancora moltissime. Anni e anni di ricerca e sperimentazioni ci separano dall’utilizzo pieno di questa tecnologia. Urge tracciare il confine tra terapia e potenziamento del genoma e non è di certo un compito banale.


Rosa Guidone

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